Ottima relazione di Marattin per il bilancio di previsione

Oggi Consiglio Comunale per il bilancio di previsione. Ho apprezzato l’ottima relazione dell’Assessore, anche perchè in linea con la mia recente pubblicazione. La riporto così come l’ha letta in aula.

Buona lettura
Relazione dell’Assessore Luigi Marattin
Martedì 20 Dicembre 2011
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Signore Consigliere e signori Consiglieri,
lo scorso anno la relazione illustrativa del bilancio 2011 si concluse con una citazione di Soren
Kierkegaard: “La vita può venir compresa solo guardando all’indietro, ma va vissuta guardando in
avanti”. Ed è da qui che vorrei partire per illustrarvi il bilancio preventivo 2012 del Comune di
Ferrara, che per la prima volta viene portato alla vostra attenzione entro i termini naturali, cioè
prima del 31 dicembre dell’anno in corso. Non si può procedere, tuttavia, ad un’esposizione
completa delle scelte che l’Amministrazione Comunale ha compiuto, tentando di “guardare
avanti”, senza comprendere le ragioni per cui l’Italia, e con essa tutti i livelli di governo
subnazionali, si trovano nella situazione attuale. E questa analisi può essere svolta solo “guardando
all’indietro”. Sia al futuro recente, che a quello più lontano.
La finanza pubblica del nostro Paese vive il momento più difficile degli ultimi vent’anni e, con ogni
probabilità, una delle fasi più difficili nella storia repubblicana. E’ molto importante, sia per il
dibattito nazionale al quale partecipiamo come cittadini sia per quello locale in cui siamo diretti
protagonisti, interrogarsi sui motivi di quanto sta avvenendo in queste settimane.
La crisi finanziaria scoppiò nell’agosto 2007 a causa di un eccessivo e non regolamentato utilizzo di
prodotti finanziari e strumenti di indebitamento privato che invece di frazionare il rischio hanno
finito per moltiplicarlo, legittimando una situazione in cui il settore finanziario e quello
immobiliare vivevano, in realtà, al di sopra delle proprie reali possibilità. La tempesta che si è
scatenata sui mercati finanziari nei quattro anni successivi ha dapprima congelato i canali del
credito – provocando una grave recessione a livello mondiale – e poi ha riacceso i riflettori degli
investitori, dei risparmiatori, di tutti noi sul fattore principale che è connaturato ad ogni titolo di
debito: il rischio. Il rischio, cioè, che tale debito (tale promessa di pagamento) non venga onorato.
Dopo tanti anni in cui il rischio sembrava sparito dai mercati finanziari, perché drogato da una
finanza senza regole e dalle illusioni che i prezzi del settore immobiliari non potessero fare altro che
salire sempre di più, il rischio che i debiti non vengano ripagati è tornato ad essere il fattore
principale che regola il rapporto tra chi presta soldi e chi li riceve.
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Era quindi solo questione di tempo prima che i creditori di tutto il mondo rivolgessero il loro
sguardo ai più grandi debitori naturali: i governi nazionali, chiamati appunto debitori sovrani.
Ritornando a guardare i debitori con gli occhiali normali del rischio, la domanda è quindi tornata ad
essere: quanto è probabile che questo Stato a cui – comprando i suoi titoli del debito pubblicoho
prestato i miei soldi, sia nelle condizioni di restituirmeli ? La scorsa estate, questa domanda
ha cominciato ad essere fatta nei confronti del nostro Paese. Un Paese che ha il terzo debito
pubblico del pianeta in rapporto al Pil, e che negli ultimi dieci anni – sempre sul pianeta Terra – è
quello che è cresciuto di meno, a parte Haiti dove solo miseria, colera e terremoto sono riusciti a
fare peggio di noi. Un Paese guidato da una classe politica senza più alcuna credibilità
internazionale. Una mancanza di credibilità che, sicuramente per motivi molto diversi, si riferiva
evidentemente sia all’ex-maggioranza che all’ex-opposizione. Non si prestano volentieri i soldi a
chi ha sulle spalle un debito superiore del 20% al proprio stipendio, a chi non riesce a produrre
reddito e ricchezza per poter ripagare i suoi debiti, e a chi ha perso ogni genere di credibilità nei
confronti di chi gli deve prestare i soldi.
Ecco quello che è accaduto negli ultimi mesi. I risparmiatori, o tutti coloro che cercando di investire
i propri risparmi anche attraverso intermediari finanziari o investitori istituzionali come fondi
pensione o casse previdenziali, non hanno più creduto nella sostenibilità delle nostre finanze
pubbliche. Pertanto, hanno cominciato a chiedere una remunerazione sempre maggiore in cambio
della sottoscrizione dei nostri titoli di Stato. Maggiori interessi significano maggiore disavanzo
dello Stato, che a sua volta aggrava i problemi di finanza pubblica e la percezione di rischiosità del
nostro Paese. Se non si inverte subito la rotta, è la strada per giungere all’insolvenza dello Stato.
Tuttavia, se davvero abbiamo a cuore i destini del Paese e non quelli di questo o di quel partito
politico, condizione necessaria per ricostruire un Paese libero, giusto e forte è quello di capire come
abbiamo fatto ad arrivare a questo punto. Dobbiamo, per tornare a Kierkegaard, guardare
all’indietro. Questo sforzo ci serve in questa sede non solo perché il bilancio di questo Comune è
parte del bilancio della Repubblica (e verrebbe quindi travolto dal suo default), ma anche perché
interrogarsi su questo è un punto fondamentale nel comprendere la storia e le dinamiche del nostro
Paese. L’Italia è un Paese in cui per almeno tre decenni c’è stato chi ha mangiato al ristorante
e poi se n’è andato, lasciando a chi sarebbe venuto dopo il conto da pagare.
Ha mangiato e poi se n’è andata quella classe politica che ha utilizzato la spesa pubblica non come
strumento di stabilizzazione macroeconomica e di redistribuzione, ma come moneta per l’acquisto
di consenso politico e clientelare. Che in soli 13 anni, dal 1981 al 1994, ha raddoppiato il debito
pubblico del Paese, dal 60% al 122% del Prodotto Interno Lordo. Che negli ultimi vent’anni, quelli
che ci separano dall’inizio dell’integrazione monetaria europea, non ha saputo affrontare con il
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coraggio necessario i problemi strutturali del Paese, i nodi che stavano cominciando a venire al
pettine, preferendo dedicarsi alla massimizzazione del consenso di breve termine o addirittura ai
propri affari personali.
Ha mangiato e poi se n’è andata quella classe imprenditoriale, che al dinamismo del rischio
d’impresa e dell’innovazione schumpeteriana ha preferito la staticità, la dipendenza dai favori e
dalle elargizioni delle garanzie pubbliche e un capitalismo asfittico incapace di adattare la nostra
struttura industriale al mutato contesto globalizzato.
Ha mangiato e poi se n’è andato chi ha consentito o ha addirittura preteso, all’interno del
movimento sindacale, che in questo Paese si potesse andare in pensione dopo 14 anni di contributi.
Ci siamo ritrovati così pensionati meno che quarantenni, che tuttora costano al bilancio dello Stato
oltre 9 miliardi di euro l’anno. Chi ha consentito che in questo Paese il perverso meccanismo della
scala mobile, che generava inflazione strutturale e pertanto – contrariamente a quanto veniva
propagandato – non tutelava il potere d’acquisto dei lavoratori bensì nel lungo periodo lo
indeboliva, venisse abolito con venti o trent’anni di ritardo rispetto ai nostri partner europei.
Ha mangiato e poi se n’è andato chi ha fatto prosperare, prima implicitamente poi – negli ultimi
anni – addirittura con inviti espliciti – l’evasione fiscale, impedendo l’instaurarsi di un patto di
fedeltà fiscale nel nostro Paese che desse lo stesso giudizio morale su chi evade le tasse e sui politici
che non utilizzano i soldi pubblici come se fossero i propri.
Ha mangiato e poi se n’è andato chi ha preferito fare affari con la criminalità organizzata, piuttosto
che combatterla. Hanno mangiato e poi se ne sono andati quei docenti universitari che hanno
trasformato le nostre facoltà in baronie medioevali, invece che misurarsi nella competizione
internazionale tramite qualità della ricerca e della didattica. Hanno mangiato e poi se ne sono andati
quegli amministratori locali, che si limitavano a scaricare la colpa su Roma (quando il governo
tagliava poche centinaia di euro l’anno, e non decine di milioni di euro l’anno come adesso)
facendo prosperare invece un sistema clientelare, autoreferenziale in cui, ad esempio, le aziende
pubbliche non erano strumento per fornire ai cittadini servizi di qualità ai prezzi più bassi possibili,
bensì strumento di governo degli interessi particolari, a volte addirittura personali, a discapito degli
utenti dei servizi. Ha mangiato e poi se n’è andato chi ha utilizzato le amministrazioni pubbliche
come ammortizzatore sociale, ingolfandole di personale (oggi indubbiamente in eccesso) e
mortificando quelle tante, tantissime energie positive che invece hanno vinto un concorso pubblico
con merito e hanno scelto di avere il pubblico come datore di lavoro perché orgogliosi di lavorare
per la collettività, chiedendo nient’altro che il riconoscimento dei propri meriti e non del colore
della tessera politica in tasca.
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Tutti costoro, la classe dirigente dell’Italia del recente passato, hanno mangiato e se ne sono
andati senza pagare. Adesso, a Roma come a Ferrara, è arrivato il conto da pagare.
E’ un tema importante, per cui non devono esserci fraintendimenti. Non sono stati i cittadini italiani,
tutti i cittadini italiani, a mangiare più di quanto potevano permettersi e ad andarsene prima che
arrivasse il conto da pagare. Non sono stati i milioni di lavoratori che hanno fatto sacrifici enormi
per arrivare a comprarsi una casa, e per lasciare ai figli una situazione migliore di quella che
avevano avuto loro. Non sono stati gli imprenditori che hanno creato un’azienda dal nulla, e hanno
lavorato diciotto ore al giorno per competere con la loro azienda familiare su mercati lontani. Non
lo è stata la classe politica nella sua interezza, che soprattutto in anni passati ha a volte quanto di
meglio l’Europa abbia mai visto. Non lo sono stati i magistrati e gli appartenenti alle forze
dell’ordine che hanno pagato con la vita la difesa della Repubblica.
Sintetizzando, l’Italia è migliore della classe dirigente che ha espresso negli ultimi anni.
E’ arrivato, dunque, il conto da pagare. Un conto che risale agli Anni Settanta, in cui si produceva
crescita tramite svalutazione e inflazione, agli Anni Ottanta, in cui si è usato il debito pubblico, e
agli Anni Novanta. In cui – non potendo più usare né svalutazione, né inflazione né debito pubblico
vista l’adesione all’euro – abbiamo semplicemente smesso di crescere. Un conto che risale agli
ultimi vent’anni, in cui la politica ha sostanzialmente fallito nella missione di modernizzazione del
Paese e delle sue strutture economiche, sociali e politiche. Il conto che è arrivato è molto salato.
Negli ultimi 150 giorni, sono state varate tre manovre finanziarie, che mirano
complessivamente a ridurre il disavanzo dello Stato di 82 miliardi di euro da qui al 2013. Si
tratta di più di 5 punti di prodotto interno lordo, è uno degli aggiustamenti fiscali più
imponenti e veloci che si siano mai visti. Sebbene la composizione di tale aggiustamento sia
ovviamente soggetta a opinioni diverse, non è invece in discussione la sua necessità complessiva.
L’alternativa era ed è, semplicemente, avviare il nostro paese a seguire quello che è avvenuto e sta
avvenendo in Grecia. Nei mesi scorsi ho avuto modo di dire che non c’era, a Roma come a Ferrara,
consapevolezza di questo aspetto. Oggi, personalmente, ne sono ancora più convinto.
Ed è proprio perché le energie del dibattito pubblico non devono, non possono, essere usate per
mettere in discussione la necessità dell’aggiustamento fiscale ma piuttosto per ottimizzarne la
composizione, nel corso di questi mesi – così come nella relazione dello scorso anno – abbiamo più
volte segnalato la sproporzione nell’articolazione dello sforzo tra i livelli di governo. Gli Enti
Locali (Regioni, Province, Comuni) sono responsabili del 6% dello stock di debito pubblico
italiano; eppure, se guardiamo ai tagli di spesa messi in cantiere in tutte le manovre nazionali
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realizzate nel corso del 2011, agli enti locali è destinata più della metà delle riduzioni di spesa.
Gli enti locali hanno dichiarato di essere pronti a fare la propria parte, e certamente lo siamo noi
come Amministrazione Comunale di Ferrara. Tuttavia, o si arriva a capire che il successo di un
piano di risanamento dipende in maniera cruciale da una equilibrata divisione del lavoro tra
Stato e autonomie locali, oppure ad essere messe in discussione non sarà solo l’efficacia del
risanamento, ma anche il modo in cui i vari livelli di governo stanno insieme nel tessuto
politico della nostra Repubblica.
Il combinato disposto della manovra nazionale del 2010 (D.L. 78), delle due manovre dell’estate
2011 del governo Berlusconi (D.L. 98 e 138) e di questa manovra del governo Monti (D.L. 201)
consegnano una cifra finale difficile anche solo da comunicarvi: rispetto al 2011, al Comune di
Ferrara vengono sottratte dal governo nazionale risorse per complessivi 14 milioni di euro.
Sommati ai 6,7 milioni dello scorso anno, i cittadini di Ferrara devono sapere che in due anni
lo Stato sottrae quasi 21 milioni di euro al bilancio del Comune di Ferrara. Per il 2012,
sommando altre diminuzioni di risorse dovute principalmente all’ulteriore cado di entrate da
concessioni edilizie, il preventivo 2012 del Comune di Ferrara sconta rispetto al preventivo
2011 minori risorse per 16 milioni e 250 mila euro. Si tratta di una cifra astronomica che non
ha precedenti nella storia repubblicana.
Come affrontare una sfida del genere, dopo lo sforzo – che i consiglieri ricorderanno – già
eccezionale dello scorso anno, in cui il Comune di Ferrara varò una correzione dei conti per
complessivi 11 milioni di euro?
Innanzitutto, facendo la nostra parte per restituire alla politica quella credibilità che ha perso, e che
abbiamo visto essere così importante anche nella finanza pubblica.
Il calendario di approvazione del bilancio è stato varato dalla Giunta e annunciato
pubblicamente a metà agosto, esattamente quattro mesi fa. Nonostante nel frattempo siano
arrivate due manovre nazionali e vi sia persino stato un avvicendamento nel governo
nazionale , abbiamo rispettato quel calendario fino al più piccolo dettaglio. Lo abbiamo potuto
fare, perché su questo bilancio abbiamo cominciato a lavorare fin dal lunedì successivo al
Ferragosto, il giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della seconda manovra estiva. La
Giunta del 23 agosto ha battezzato il percorso (compresi i due cicli di spending review, di cui il
primo cominciò proprio quel giorno) e tutta la macchina comunale si è immediatamente messa in
moto per affrontare l’emergenza con gli strumenti della programmazione, della precisione e del
rispetto dei tempi. Un lavoro di squadra per il quale va il mio più sentito ringraziamento non solo –
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come è persino troppo ovvio sottolineare – ai colleghi di Giunta ma al Direttore Generale Roberto
Finardi, alla Dirigente del Settore Finanze Piera Pellegrini, al capo di Gabinetto Giovanni Lenzerini,
all’Ufficio Tributi e a tutti i dirigenti dei vari servizi che hanno lavorato alla predisposizione di
questa proposta di bilancio. E’ grazie a questo lavoro di squadra che riusciamo oggi, nonostante
tutte le cose che sono successe nel Paese da quei caldi giorni di estate, a portare per la prima
volta il bilancio in approvazione prima di Natale. Non lo abbiamo fatto per vincere una gara, o
per farci dare una pacca sulla spalla da non si sa bene chi (visto che di pacche ne prendiamo ogni
giorno, ma non esattamente sulla spalla). Lo abbiamo invece fatto per due motivi. Recuperando una
distinzione molto in voga, ma nella quale come noto il sottoscritto non crede affatto, uno è un
motivo tecnico, l’altro politico. Il motivo tecnico consiste nella convinzione che evitare l’esercizio
provvisorio consenta una migliore e più ordinata programmazione dell’allocazione delle risorse
durante l’esercizio finanziario, un maggior respiro nella gestione, e una tempistica più sicura per
quel che riguarda le procedure d’appalto per i lavori pubblici da svolgersi obbligatoriamente
durante il periodo estivo, in primo luogo i lavori di manutenzione negli edifici scolastici. Il motivo
politico è ancora più semplice. Crediamo che prima o poi questo Paese dovrà smetterla di
essere la patria del bel vivere, della Dolce Vita, dell’ottimo cibo, del sole, del mare e della
pizza ma in cui il rispetto delle regole è una variabile casuale, soggetta alla discrezionalità, agli
umori della classe dirigente e agli interessi di parte. Dovremo prima o poi smetterla di essere
il paese del mille proroghe, e dimostrare che questo è semplicemente il Paese più bello del
mondo, dove la bellezza dei nostri paesaggi, la profondità storica del nostro patrimonio
artistico e culturale, l’arte della nostra cucina e il calore negli occhi e del cuore delle italiane e
degli italiani si accompagna anche alla certezza del diritto, al rispetto delle regole e dei tempi
che ci diamo, all’efficienza della programmazione, all’efficienza della politica. E’ un piccolo
passo, certamente reso ancora più piccolo dal fatto che viene da un piccolo comune di
provincia come il nostro, per riacquisire la credibilità della politica e dell’amministrazione di
cui il Paese ha estremo bisogno.
Ed è proprio per riaffermare la credibilità del nostro agire politico che abbiamo affrontato questa
nuova sfida – più di 16 milioni di ulteriori risorse mancanti – con gli stessi tre pilastri politicoculturali
dello scorso anno, a cui ne abbiamo aggiunto uno nuovo.
Il primo pilastro è quello a cui teniamo di più. Il drastico abbattimento del debito pubblico del
Comune di Ferrara, che quando questa amministrazione è entrata in carica era pari a 167
milioni di euro. Con il bilancio preventivo che oggi presentiamo, il debito scende a 139 milioni
di euro, e l’anno prossimo promettiamo di ridurlo ulteriormente a 128 milioni di euro. Entro
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la fine della legislatura, lo porteremo vicino ai 120 milioni di euro, avendolo abbattuto quasi
di un terzo e realizzando così uno dei più grandi episodi di abbattimento del debito senza
rimborso anticipato che si sia visto in un’amministrazione pubblica sul territorio nazionale.
Per tornare ancora una volta alla divisione del lavoro tra Stato ed enti locali, un aspetto può essere
interessante: se anche lo Stato facesse come il Comune di Ferrara – cioè riducesse di quasi un
terzo il proprio debito pubblico – i cittadini italiani risparmierebbero 27 miliardi di euro. In
poche parole, non solo non sarebbe stata necessaria la manovra Monti, ma ci sarebbero anche 5
miliardi l’anno da spendere, strutturalmente, per riavviare la crescita nel nostro Paese. Noi non
riduciamo il debito con un tratto di penna. E’ politicamente molto costoso, perché richiede la rottura
di una prassi consolidata nell’amministrazione e nel governo della cosa pubblica: in questo caso, in
particolare, significa diminuire la domanda pubblica di cui beneficiano le imprese della città,
razionalizzare i nostri spazi e i nostri costi per poter cedere immobili comunali (con cui finanziamo
gli investimenti), dire alle associazioni che non potremo più garantire loro quella sede perché
dobbiamo vendere quell’immobile al fine di poter garantire alla città un accettabile flusso di
investimenti annui. Sono scelte che costano, anche in termini di consenso. Ma sull’altro piatto della
bilancia, proprio in termini di consenso, noi mettiamo la nostra scelta: quella di essere coloro i quali
che il consenso non lo comprano scaricando i costi su chi verrà dopo di noi, ma quelli che se lo
conquistano creando condizioni in cui la finanza comunale sia sicura, equilibrata, risanata, e giusta.
Come avremo modo di dire durante il dibattito, rispondendo ad una risoluzione presentata dal
gruppo del Partito Democratico, attraverso mesi di lungo e duro lavoro abbiamo anche agito
concretamente nei confronti del contratto di interest rate swap (conosciuto come “il derivato”)
che il Comune di Ferrara ha in essere da quasi 10 anni. E’ convinzione di
quest’amministrazione che le condizioni macroeconomiche internazionali rendano oramai
estremamente probabile un prolungato futuro periodo di bassi tassi di interesse, con conseguente
accumularsi di pesanti perdite nel nostro bilancio corrente dovute alla presenza dello strumento di
interest rate swap. Il quale sarebbe stata la nostra salvezza (come lo è stata qualche anno fa) in caso
di tassi di interessi alti, ma che ci provoca consistenti danni in caso di tassi bassi. Dò atto ai gruppi
di opposizione di aver sempre esortato la Giunta (probabilmente anche quando non era necessario) a
rivedere la sua posizione in merito. Posso quindi annunciare che una proposta della Giunta, d’intesa
con la controparte bancaria e adeguatamente supportata da pareri di esperti tecnici, è pronta ed è
stata formalmente inviata al nostro Collegio dei Revisori per un necessario e vincolante parere
tecnico.
Il secondo pilastro riguarda la protezione degli ultimi, che abbiamo sempre identificato come
coloro i quali non possono permettersi un tetto sopra la testa. Quest’ anno abbiamo
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aumentato i contributi di quasi 100 mila euro, per il 2012 abbiamo previsto un ulteriore
aumento di 31 mila euro. Tra il nostro impegno a difesa degli “ultimi” inseriamo anche un aspetto
di cui continuiamo ad andar fieri. L’aumento dell’addizionale Irpef, che questo Consiglio Comunale
ha approvato il mese scorso, per le due classi inferiori di reddito (nei quali si concentrano la
maggior parte dei contribuenti ferraresi) si riduce al seguente sforzo: da un minimo di 50 centesimi
ad un massimo di 3 euro al mese.
Il terzo pilastro attiene al gap storico che l’economia ferrarese ha accumulato nei confronti
delle realtà limitrofe: la scarsa generazione di attività imprenditoriale o comunque la limitata
attrazione di imprese dall’esterno. Nel corso del 2011, il Comune ha attivato un abbattimento
del 55% dell’ICI per chi costruisce una nuova impresa nelle aree adibite a nuovi insediamenti
o a riqualificazione di tessuti produttivi; per il 2012, il Comune di Ferrara estende
quest’agevolazione a chiunque rilevi – in qualsiasi zona comunale – un immobile da impresa
soggetta a procedura fallimentare per farne una nuova impresa. Si tratta di una misura
innovativa, che sta riscuotendo molto interesse al di fuori della nostra città, che abbiamo
inteso confermare anche dopo il passaggio da ICI a IMU al fine di testimoniare il nostro
impegno nel far sì che Ferrara diventi un territorio in cui le imprese (create da ferraresi o da
non-ferraresi) sono le benvenute e in cui il Comune fa di tutto affinché possano trovare un
ambiente libero, competitivo, amichevole e sgravato da inutili lungaggini burocratiche.
A questi tre pilastri di politica economica, quest’anno se ne aggiunge un quarto. La discussione
nazionale sul rapporto tra risanamento fiscale e crescita economica è a mio avviso viziato da un
equivoco di fondo. Alcuni commentatori dicono che finché si continuerà a ridurre la spesa pubblica,
il Pil continuerà a non crescere, per cui l’effetto netto porterà ad un peggioramento dei rapporti
deficit/pil e debito/pil, avviandoci lungo una spirale pericolosa. A parte che questa manovra
nazionale, come purtroppo le precedenti, è in gran parte fondata su aumenti di tasse, piuttosto che
su tagli di spesa……ma il vero problema di quest’atteggiamento è che dimentica che la crescita di
un sistema economico non si realizza con la spesa pubblica. Solo una lettura superficiale,
interessata e intellettualmente disonesta di Keynes porta alcuni ad accostare il suo nome a tale
impostazione. Dire che il modo principale per promuovere la crescita di un Paese è continuare ad
iniettare massicce dosi di spesa pubblica (meglio se non controllata e non efficientata) non ha il
marchio intellettuale di Keynes, bensì quello di Cirino Pomicino, ministro del Bilancio negli anni in
cui il debito pubblico di questo Paese è raddoppiato, gettando le basi per la crisi di questi giorni.
John Maynard Keynes assegnava un ruolo cruciale non già alla spesa pubblica corrente, bensì agli
investimenti pubblici. Ed è su questa linea che, con molta più modestia, il Comune di Ferrara si
innesta. Il nostro bilancio ha sempre mostrato uno squilibrio strutturale tra spesa corrente e
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investimenti, a beneficio della prima e a danno dei secondi. In altre parole, gli investimenti
avrebbero potuto essere più alti (o, se preferite, il debito più basso) se la parte corrente fosse stata in
equilibrio, come invece non è mai stata finora. Nel corso del 2011 l’Amministrazione – grazie alla
manovra incisiva dello scorso anno – ha riportato in equilibrio strutturale la parte corrente, creando
quindi le condizioni macroeconomiche necessarie affinché gli investimenti – seppur nel quadro
drammatico di deterioramento della complessiva finanza pubblica locale – fossero privilegiati. E
quest’anno, con questo bilancio, affondiamo il colpo decisivo con due decisioni coraggiose. Come i
consiglieri sanno, i quasi 4 milioni di tagli (parte dei 14 complessivi) della manovra di agosto non
sono tagli ai trasferimenti, bensì inasprimento del Patto di Stabilità per i Comuni. Avevamo quindi
due scelte: potevamo adempiere a questo obbligo penalizzando ulteriormente i pagamenti degli
investimenti, oppure fare una scelta innovativa e scegliere di trattare quei 4 milioni come se fossero
tagli ai trasferimenti, e quindi operare la correzione sulla parte corrente. Abbiamo scelto la seconda
ipotesi, perché siamo convinti che in questa delicatissima fase per l’economia del nostro territorio
non fosse possibile penalizzare ulteriormente gli investimenti pubblici, che invece sono
indispensabile motore di crescita e sviluppo per un sistema economico che ancora non è del tutto
emancipato dalla domanda pubblica. Come corollario di tale decisione, per la prima volta da
decenni, abbiamo scelto di destinare la maggior parte dei proventi da oneri di urbanizzazione
agli investimenti, e non alla spesa corrente come si è sempre fatto.
Questi i pilastri della nostra impostazione: abbattimento del debito e della pressione fiscale
comunale per chi crea nuova impresa, sostegno agli investimenti comunali e alle classi sociali
maggiormente svantaggiate. Sebbene armati di questi precisi convincimenti culturali e politici,
come abbiamo affrontato il venir meno di oltre 16 milioni di euro di risorse (di cui 14 da tagli
statali) da un anno all’altro?
Nella manovra dello scorso anno riuscimmo a mantenere una invidiabile composizione
dell’aggiustamento. Come i consiglieri ricorderanno, più dell’80% della manovra consisteva in tagli
alle spese, e solo poco meno del 20% in aumenti di entrata, quasi interamente rappresentati
dall’entrata in funzione di M.U.S.A. Quest’anno, sia a causa dell’entità dell’aggiustamento
(superiore di quasi la metà a quella dello scorso anno) sia perché i massicci tagli di spesa si sono già
verificati lo scorso anno, purtroppo non abbiamo potuto matematicamente fare a meno di ricorrere
all’aumento della pressione tributaria locale.
Come gestori della cosa pubblica, abbiamo però prima di tutto l’obbligo di esporre ai nostri
concittadini i nostri sforzi e i nostri risultati di riduzione della dimensione della spesa.
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In aggiunta ai 9 milioni di euro di spese tagliate nel 2011, il bilancio per il 2012 prevede i seguenti
risparmi di spesa: 2,2 milioni di euro di minor spesa per interessi, dovuta all’abbattimentorecord
del debito che già abbiamo esposto. Quasi tre milioni di euro di minor spesa per il
personale, che tuttavia sono parzialmente compensati – per 1,7 milioni di euro – dalla maggior
spesa per gli appalti-servizi nel settore scolastico.
L’operazione di riassetto delle società partecipate dal Comune di Ferrara che questo Consiglio
Comunale ha approvato quasi all’unanimità poche settimane fa – in particolare la cessione del ramo
d’azienda Verde e DD – permetterà di risparmiare più di mezzo milione di euro sui relativi
contratti di servizio, senza diminuire in alcun modo la quantità e la qualità del servizio offerto
alla cittadinanza.
Dopo gli oltre 4 milioni di euro di sforzi richiesti lo scorso anno, abbiamo tagliato di un ulteriore
milione di euro la spesa per gli assessorati. Si tratta di una cifra che risulta per il 90% a carico
dell’Assessorato alla Cultura e Turismo e di quello ai Servizi Sociali. Non si tratta di un’avversione
particolare verso questi due settori; né si tratta della volontà di esentare tutti gli altri dai sacrifici
necessari. La verità è molto più semplice, e facilmente verificabile da ogni cittadino ferrarese sul
sito del Comune, dove si trovano tutti i documenti – in formato chiaro e intellegibile – relativi alle
manovre economiche comunali. I tagli degli ultimi anni hanno essenzialmente fatto sparire le
dotazioni economiche degli altri assessorati, i cui budget di spesa si sono ridotti al
finanziamento delle funzioni istituzionali di base (quali l’anagrafe, il decentramento, la
manutenzione essenziale strade, gli acquisti di cancelleria e di materiale da lavoro).
Sommando i budget di tre assessori (Roberta Fusari, Deanna Marescotti e Rossella Zadro), non si
arriva neanche a 350.000 euro di spesa, che rappresentano il 2,50% del taglio di risorse che ci è
stato fatto quest’anno; se aggiungiamo Luciano Masieri (arrivando così a metà della giunta),
arriviamo a circa 1,2 milioni di euro, che rappresenta il 9,27% del taglio di quest’anno. E se infine
sommiamo Aldo Modenesi con tutto il suo residuo budget per manutenzione strade, emergenza
neve,mobilità e tutto il resto, arriviamo a malapena a 2,5 milioni di euro, molto meno di un quinto
di quello che ci hanno tagliato in un anno. Poco più di un decimo di quello che ci hanno tagliato in
due anni.
Non so se vi è chiaro il senso di quanto vi sto dicendo. Se dovessimo far sparire tutti gli assessori
di questa Giunta tranne Massimo Maisto e Chiara Sapigni, arriveremmo a coprire il 17% del
taglio che solo quest’anno il governo ci ha imposto. Due veloci considerazioni, su questo. La
prima è l’ammirazione per chi riesce – come i colleghi che ho citato – a garantire alla città gli stessi
servizi di prima (con forse anche maggiore qualità) avendo a disposizione letteralmente due lire;
sono lontani anni luce i tempi in cui la forza e il prestigio politico di un assessore (o del partito che
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rappresenta) si misuravano con l’entità del budget a sua disposizione. Oggi è l’esatto contrario. Le
capacità e il peso politico di un assessore, e la responsabilità del partito che lo sostiene, si misurano
da quanto riesce a fare avendo a disposizione il budget più ridotto possibile. E se questo è il metro
di giudizio, è davanti agli occhi di tutti la straordinaria capacità dei colleghi che ho citato. La
seconda considerazione è che se la politica è una cosa seria, e non una gara a chi la spara più grossa,
la semplice rilettura di quei dati deve definitivamente espellere dal dibattito politico locale l’accusa
che vi siano sprechi o inefficienze residue nella spesa degli assessorati. Se serve a cavalcare
l’ondata di antipolitica presente nel Paese per lucrare due voti in più, chi ha la coscienza per farlo si
accomodi pure; il dibattito politico serio, volto a risolvere insieme i problemi dei cittadini, è
tutt’altra cosa.
Si capisce dunque perché i tagli si siano concentrati (nonostante a tutti gli assessori, nessuno
escluso, siano stati ridotti i fondi) su welfare e cultura/turismo. Di fatto, sono gli unici centri di
spesa – assieme alla scuola, su cui interveniamo per 500.000 euro – rimasti in questo Comune. Se
sommiamo questi due assessorati arriviamo circa alla cifra che il governo ci ha tolto quest’anno.
Quindi eccola l’alternativa al ricorso all’aumento della pressione fiscale comunale: avremmo potuto
completamente cancellare Massimo Maisto e Chiara Sapigni, con tutte le attività sotto la loro
responsabilità: l’azienda servizi alla persona con annessi i compiti che ci spettano per legge (ad
esempio quelli relativi all’affido dei minori, ma anche le funzioni socio-sanitarie delegate dalle
Regioni), la totalità della spesa sociale di questo Comune, tutti i servizi al turismo, la cancellazione
di ciascuno degli eventi di questa città (Buskers, Ferrara Sotto le Stelle, le mostre a Palazzo dei
Diamanti, il Palio, le biblioteche, i musei civici. Tutto).
Per questi motivi, gli oltre cinque milioni di euro di tagli di spesa che pur abbiamo effettuato non
potevano essere sufficienti a coprire i tagli del governo nazionale, e pertanto non poteva esserci
alternativa al ricorso alla leva fiscale. L’Amministrazione Comunale ha scelto di non aumentare
le tariffe dei servizi a domanda individuale, di non toccare la tassazione sulla prima casa
(oltre a quella già decisa e incamerata dallo Stato, attraverso l’aliquota del 4 per mille
sull’abitazione principale), e di non introdurre la tassa di soggiorno. Riguardo quest’ultimo
aspetto, è nota la posizione dell’Amministrazione. Durante la discussione dell’ultimo bilancio
preventivo, avevamo esposto con la massima chiarezza i termini del problema: l’Amministrazione
non era più nelle condizioni finanziarie di sobbarcarsi interamente il costo derivante dalla
prosecuzione dell’attività espositiva a Palazzo dei Diamanti. Oltretutto, elementari principi di equità
e di corrispondenza tra costi e benefici imponevano che tutti coloro che accedono ai benefici
economici derivanti dalla presenza di mostre di qualità a Ferrara, partecipino perlomeno in una
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minima percentuale ai relativi costi. E’ uno dei principi-cardine della scienza economica, che mi fa
particolare piacere ricordare in questa sede perché si collega praticamente a tutto quanto detto
finora: there’s no free lunch. Nessun pasto è gratis. Un sistema economico non può funzionare
secondo principi di efficienza e di equità se chi riceve sotto qualsiasi forma dei benefici continui e
consistenti da un’attività, non è in qualche modo chiamato a parteciparne ai costi.
Gli appelli in tal senso, ripetuti pubblicamente e privatamente a tutti gli operatori commerciali nel
corso del 2011, sono regolarmente caduti nel vuoto. L’Amministrazione Comunale ha pertanto
considerato l’introduzione dell’imposta di soggiorno, in analogia con la maggior parte delle realtà a
noi vicine, per finanziare all’incirca la metà del fabbisogno previsto da Ferrara Arte. Come
specificato nella commissione consiliare competente del 1 dicembre, eravamo pienamente
consapevoli di almeno due controindicazioni derivanti da tale strumento. Il primo era rappresentato
dall’aleatorietà e incertezza del gettito, poiché il soggetto passivo dell’imposta non è l’albergatore
bensì il turista, con tutti i rischi connessi. Il secondo era costituito dal fatto che in questo modo solo
una piccola parte dei beneficiari delle mostre veniva chiamata a partecipare al costo delle stesse.
L’imposta di soggiorno era tuttavia l’unico strumento che avevamo a disposizione fino al 5
dicembre scorso, una volta constatata l’indisponibilità delle categorie economiche della città a farsi
carico di un contributo volontario.
L’Amministrazione Comunale ha quindi scelto di non avvalersi di tre possibili strumenti di
innalzamento della pressione fiscale: non si è introdotta l’imposta di soggiorno (e saremo
probabilmente uno dei pochissimi Comuni nel Nord Italia), non si sono toccate le tariffe dei servizi,
e si sceglie di non gravare ulteriormente sulla re-introdotta tassazione sulla prima casa, il cui gettito
è incamerato dallo Stato.
Il bilancio 2012 invece fa ricorso a due strumenti tributari. Il primo è l’aumento delle aliquote di
compartecipazione all’addizionale Irpef, come approvato dal Consiglio Comunale il 29 novembre
scorso. Come i consiglieri ricorderanno, Ferrara è uno dei pochi Comuni ad aver considerato (e
attuato) l’introduzione di un aumento progressivo a seconda degli scaglioni di reddito. Tramite
questa scelta (che comporta per noi un minor gettito di oltre due milioni di euro), siamo
riusciti a contenere notevolmente l’incremento per gli appartenenti ai due scaglioni di reddito
più bassi. Per loro, infatti, l’aumento varierà da 50 centesimi a 3 euro in più al mese. Uno
degli slogan più di moda ultimamente è “far pagare di più a chi ha di più”. Noi, nell’immensa
ristrettezza degli strumenti che il quadro normativo – anche post-federalismo – ci mette a
disposizione, lo abbiamo fatto davvero.
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Il secondo strumento al cui ricorso siamo stati costretti è la possibilità di incrementare l’aliquota
dell’IMU sui terreni e fabbricati diversi dall’abitazione principale, che è oggetto di una delibera
separata in discussione in questa seduta consiliare. I consiglieri sanno che il governo ha introdotto
un’aliquota base pari allo 0,76% (anche in questo caso nessuna risorsa aggiuntiva va in cassa ai
Comuni), concedendo la possibilità di aumentarla fino ad un massimo del 1,06%. Per far fronte al
nuovo e ulteriore taglio di circa 5 milioni di euro che il governo ha imposto a Ferrara
(contestualmente all’introduzione, e assorbimento del relativo gettito, dell’IMU),
l’Amministrazione Comunale propone di innalzare tale aliquota dello 0,12%. Inoltre, per
sostituire l’imposta di soggiorno, si propone un ulteriore incremento pari allo 0,02%.
Complessivamente quindi, la delibera che avete sottomano propone di incrementare l’aliquota
IMU sui fabbricati diversi dall’abitazione principale dallo 0,76% di base allo 0,9%. La
sostituzione dell’imposta di soggiorno con un’addizionale IMU dello 0,02% è motivata dal fatto che
entrambe le controindicazioni che caratterizzavano l’imposta di soggiorno venivano di fatto risolte:
da un lato infatti il gettito IMU ha caratteristiche di certezza maggiori, in quanto il soggetto passivo
dell’imposta è chiaramente individuato e gli spazi di elusione o evasione sono molto più ridotti.
Dall’altro, l’ampliamento della platea di contribuenti (non solo alberghi, ma anche esercizi
commerciali e attività economiche) rende più giustizia a quello che da un anno a questa parte era il
nostro intento di fondo: chiamare a contribuire al finanziamento delle mostre tutti coloro che
effettivamente beneficiano della presenza degli oltre 100 mila visitatori annui che visitano la nostra
città grazie alla presenza di un’attività espositiva di livello internazionale quale quella di Ferrara
Arte.
Signore Consigliere e Signori Consiglieri,
il bilancio preventivo 2012 del Comune di Ferrara rispetto al 2011 soffre di una diminuzione di
risorse superiore ai 16 milioni di euro, di cui quasi il 90% è rappresentato da tagli da parte del
governo nazionale. L’amministrazione comunale di Ferrara vi ha fatto fronte cercando di
consolidare il suo concetto di credibilità.
Credibilità ha significato iniziare a lavorare in agosto, il giorno stesso della promulgazione della
seconda manovra estiva, attraverso un lavoro di squadra continuamente aggiornato sulla base delle
drammatiche e continue evoluzioni – tuttora in corso – dello scenario nazionale e internazionale.
Credibilità ha significato farsi guidare, in questa nuova, e difficilissima, tempesta dalle stesse stelle
polari che vi avevamo annunciato l’anno scorso, sui cui vi abbiamo presentato non solo i risultati
che abbiamo ottenuto nel 2011 rispetto alle promesse fatte, ma anche il rinnovo di tali promesse
verso i nuovi obiettivi che raggiungeremo nel corso del 2012. L’abbattimento del debito (sceso di
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quasi 30 milioni di euro da inizio legislatura), l’abbattimento delle tasse comunali nell’ordine del
55% per chi crea nuova impresa, l’aumento degli stanziamenti per chi non può permettersi un tetto
sopra la testa, e il sostegno agli investimenti pubblici, tramite soprattutto l’innovativa decisione di
destinare quasi i tre quarti dei proventi da concessioni edilizie al sostegno degli investimenti
piuttosto che alla spesa corrente come consente la normativa. Credibilità ha significato, prima di
chiedere anche solo un euro ai cittadini, assicurarsi che fosse stato fatto tutto il possibile per ridurre
la spesa senza cancellare servizi. Negli ultimi due anni, la spesa corrente del Comune di Ferrara
è stata ridotta di 13 milioni di euro, che rappresentano un terzo della spesa “libera” (cioè al
netto di personale e rimborso debito). E’ stato tuttavia dimostrato che non vi era possibilità
matematica al ricorso alla leva fiscale. Ma anche in questo non abbiamo rinunciato ad un percorso
di credibilità. Non avremmo potuto fregiarci del titolo di “difensori degli ultimi” se ci fossimo
limitati, come quasi tutti i Comuni stanno facendo, ad aumentare l’addizionale Irpef in misura
uguale per tutti. Attraverso l’aumento progressivo votato a fine novembre, la maggior parte dei
contribuenti ferraresi verserà alle casse comunali nel peggiore dei casi 3 euro al mese. Così come
non avremmo potuto mai toccare la prima casa, già tartassata dall’azione statale. Il nostro ricorso
alla pressione tributaria si è quindi limitato ad aumentare dello 0,14% l’aliquota dell’IMU sulle
seconde case, il cui gettito va in massima parte a colmare il taglio operato dal governo Monti, e in
minima parte a sostituire l’imposta di soggiorno. Credibilità ha significato esporre questa nostra
proposta di bilancio alle forze sociali il 4 novembre scorso – un mese e mezzo fa – e da allora
accogliere col massimo della disponibilità la loro richiesta di ulteriori incontri di approfondimento
(con le organizzazioni sindacali ne sono stati svolti almeno sette). Come sapete dagli organi di
stampa, le organizzazioni sindacali renderanno pubblica la loro posizione su questa proposta di
bilancio soltanto tra qualche ora.
Nella presentazione pubblica di questa proposta di bilancio, svoltasi l’8 novembre scorso alla Sala
Estense, abbiamo detto che avevamo una storia da raccontare. Una storia apparentemente fatta di
numeri, e perciò arida e fredda, ma che in realtà era una storia di idee, una storia di uomini e donne
chiamate al più grande onore che esista, amministrare la cosa pubblica in nome e per conto della
propria comunità, piccola o grande che sia. Questa è la nostra storia. Benedetto Croce una volta
scrisse che “il carattere di un popolo non è altro che la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro
che la sua storia”. Nell’affrontare la fase più difficile da quando siamo diventati una Repubblica, il
popolo italiano – e quindi quello ferrarese – hanno l’opportunità di dimostrare cosa ne è stato del
nostro carattere. Se è quello che ha costruito questa Repubblica dopo le macerie della guerra, quello
che ha costruito dal nulla la settima potenza industriale del mondo, quello che ha sconfitto la
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minaccia terrorista e ha creato un ambiente in cui fosse così bello vivere. Oppure, se il nostro
carattere è quello di chi di fronte al pericolo del baratro, cerca sempre e comunque il proprio piccolo
pezzettino di vantaggio, sia esso per la propria categoria professionale o per il proprio partito
politico. Da questa scelta sul nostro carattere, come scriveva Croce, dipende il modo in cui verrà
scritta la storia futura del nostro Paese, del nostro Comune ma soprattutto del modo in cui avremo
deciso di stare insieme e di lasciare a chi verrà dopo di noi un Paese in cui sia ancora così bello
vivere.

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