Una scommessa vinta!

…è il 2000… una scommessa vinta…”

PREMESSA

Sin da bambino ne sono stato affascinato, ho sempre ritenuto la maratona l’emblema dello sport, l’evento sportivo per eccellenza.

Tante cose concorrevano a trasformare questa gara nel mio mito sportivo, come nella mitologia stessa che lega l’impresa di Filippide all’inizio dei giochi olimpici o come l’eroico Dorando Pietri all’Olimpiade del 1908; ma senza dubbio la più importante era l’idea creatasi nella mia testa di adolescente che fosse una prova riservata ad atleti “marziani”, ai quali non avrei mai potuto avvicinarmi.

Sportivamente sono cresciuto così: con l’amore per la pallavolo, che non ho mai abbandonato, ed uno sguardo incantato a seguire l’evento della maratona, che in quegli anni significava in pratica attendere l’Olimpiade.

All’inizio degli anni ’80, arrivarono per me i primi allenamenti pallavolistici veramente “importanti” con il Profe Scaramelli, preparatore atletico della prima squadra ferrarese di volley in serie A. Il Profe si presentò con un programma, inconsueto per quei tempi, che era sviluppato su quattro settimane dedicate alla corsa e l’ultima prevedeva di correre un’ora consecutiva al massimo delle nostre capacità.

Dalle corsette fatte sino ad allora per diletto passai così, per la prima volta, alla fatica disumana della corsa e, al tempo stesso, a quella sensazione diabolica, che solo un podista lettore può capire, di trarre piacere nel faticare.

Ricordo ancora con grande nostalgia quelle corse sulle mura dove io e Zambo primeggiavamo, tirandoci dietro Gianni Freddi che sbuffava come una locomotiva e dove, a chiudere le fila, c’era sempre Sandro Bratti che, con la sua massa di fibre bianche, detestava la corsa in modo viscerale.

Quell’approccio certamente importante alla corsa non servì però a sminuire la mia idea originaria di sport per “marziani”, ma anzi la accentuò: la sofferenza e la fatica che si accumulavano in quell’ora di corsa, moltiplicate per almeno tre-quattro ore, mi inducevano a pensare che fosse un traguardo ancor più irraggiungibile per un atleta normale come me.

Al tempo stesso, comunque, si innescò un meccanismo che solo chi corre può percepire e dare un senso a queste mie parole e cioè che non riesci più a farne a meno.

Il benessere psicofisico che ti lascia una bella corsa legato, cosa non trascurabile, all’ambiente delle mura ferraresi, stupendo in ogni stagione, nonché l’abbandono tutto sommato abbastanza precoce della pallavolo giocata a buoni livelli, portarono a ritagliarmi degli spazi sempre più frequenti per coltivare questa mia passione.

LA DECISIONE

Fu così che arrivai all’estate del 2000, l’estate del nuovo millennio, un traguardo storico delle nostre generazioni ed insieme l’anno in cui raggiungevo i miei quarant’anni, l’età ritenuta quasi lo spartitraffico della mia vita sportiva.

Mi buttai. La sensazione di incoscienza era frizzante e leggera e mi dava carica: “Parteciperò alla maratona di Carpi”.

In Giugno cominciai ad aumentare la frequenza delle mie corsette, che quasi da subito divennero dei veri e propri allenamenti. L’attività in palestra era finita tra l’altro con una stagione stupenda: l’anno prima ero riuscito a portare la squadra di volley del Monselice in B1 e a Maggio del 2000 ne ottenni la salvezza, che era un po’ come vincere lo scudetto con quella squadra e i mezzi a disposizione di quella società.

La mia florida situazione psicologica era aiutata da un’ottima situazione logistica: la caserma dei pompieri di via Poledrelli, ora abbandonata, si trovava ad un centinaio di metri soltanto dal percorso delle mura ed era la partenza migliore che potessi desiderare; tutti i giorni, appena smesso il lavoro, mi tuffavo nella corsa.

LA PREPARAZIONE

Le conoscenze tecniche e fisiologiche acquisite nel mio lavoro di allenatore mi aiutarono molto e credo di aver azzeccato in pieno la preparazione che mi portò a fare oltre 300 Km al mese per tre mesi. Ero bello “tirato” in quel periodo e mi sentivo forte anche di testa: una bellissima sensazione psicofisica di tanto in tanto simpaticamente offuscata dall’incontro con persone che, vedendo il mio viso asciutto e scarno, mi chiedevano addirittura se fossi malato!

Mancavano tre settimane all’evento e dovevo valutare se il mio lavoro era stato produttivo. Iniziai così il mio “lungo” alle 17:30 di Venerdì 22 Settembre e terminai 3 ore e 5 minuti più tardi dopo aver percorso 31 Km, limite oltre il quale è bene non spingersi in allenamento.

Arrivai a casa poco dopo le 21: ricordo che, nonostante ci fosse caldo, fui costretto a coprirmi e che mangiai e bevvi ininterrottamente sino a mezzanotte, senza aver la possibilità di fermare questa richiesta che veniva dal mio fisico.

Trassi grande beneficio da quella prova perché aumentò in me la consapevolezza che avrei potuto farcela, che il mio sogno si sarebbe potuto avverare. Gli allenamenti seguenti, poi, furono uno scarico del lavoro ed anche il sabato 14 ottobre, il giorno prima della gara, andai a correre nonostante molti mi dicessero che non fosse opportuno farlo. Percorsi quasi 10 Km e nonostante l’andatura fosse assai lenta volarono via in un baleno. Il mio pensiero era proiettato al giorno dopo, al compimento della mia impresa.

Mi ero messo d’accordo per raggiungere il luogo della gara insieme ad un collega pompiere che già da tempo si era dedicato alla maratone, le correva per diletto arrivando sempre con un tempo attorno alle 4 ore assieme ad un altro podista “della domenica”. I miei obiettivi erano due: il primo compiere l’intero percorso senza fermarmi ed il secondo, forse ancor più difficile, correre con una media di 5 minuti al Km che significava finire la maratona in 3 ore e mezza.

IL “GIORNO”

Dopo una notte tormentata “alzataccia” alle 5:00 sia per rifornire il mio corpo di “combustibile” sia perché, essendo diverso il punto di arrivo da quello di partenza, si doveva arrivare in tempo a Carpi per prendere le navette che portavano alla partenza che avveniva da Maranello. Due etti e mezzo di pasta in bianco, che la motivazione rese addirittura buona anche come prima colazione, una fetta di crostata preparata da mia moglie ed un caffè di Moka ricco di caffeina, anche se di adrenalina in circolo ne avevo già parecchia, e via!

Il mio collega, il suo amico ed io partimmo puntualissimi da Ferrara, cercando di parlare del più e del meno, ma inevitabilmente i discorsi furono dirottati tutti sulla corsa. La maggior parte delle domande le facevo io per cercare di carpire utili consigli dalle loro precedenti esperienze per poi utilizzarli in gara.

Mi sforzavo di rendere tutto normale, ma di normale non c’era nulla e il clima dell’evento permeava tutto ciò che mi stava attorno.

In breve mi ritrovai nello stanzone di un edificio comunale, dove un acre odore di canfora era così intenso da fermare in aria anche le parole delle centinaia di atleti che, alternandosi, si cambiavano e si preparavano per la partenza.

Cercai un bagno, dopo aver fatto un po’ di fila, in una situazione quasi da campeggio; riuscii comunque anche a togliermi quel peso superfluo che sapevo essere un grosso problema se fosse sovvenuto durante la gara: il fatto mi mise di buon umore perché le “circostanze ambientali” mi avevano fatto pensare che non sarei mai riuscito in quell’intento.

Le ultime cose da espletare furono quelle di consegnare allo staff organizzativo il mio zaino con gli effetti personali, per riaverlo al mio arrivo a Carpi, e due bottiglie d’acqua contenenti zuccheri, contrassegnate dal mio nome, per poterle utilizzare ai rifornimenti del trentesimo e del trentacinquesimo chilometro, consiglio messo in pratica confrontandomi con un amico maratoneta.

Mancava solo mezz’ora alla gara e mi sembrava un tempo interminabile… Incontrai in quel mentre Massimo Magnani, presente alla gara come testimonial e come allenatore, il quale trovò il tempo di scambiare due chiacchiere con me che si rivelarono determinanti, o almeno così credo, per la mia maratona. Dopo i saluti mi chiese se era la mia prima maratona ed io ovviamente risposi di sì. Il suo viso ed il suo sguardo furono per me una risposta esauriente, ma aggiunse queste parole: “Stai attento, se ti sei preparato bene ti sembrerà di volare nella prima parte della gara e ti verrà voglia di spingere più di quanto sia nelle tue possibilità… se farai così dopo il trentaduesimo/trentatreesimo km non avrai più forze per finire la maratona”.

Cominciai a scaldarmi pian piano e corsi almeno dieci minuti prima di andarmi a piazzare, assieme alle mie aspettative e alle mie titubanze, nella folla dei corridori. L’umiltà di quell’approccio mi buttò in fondo al fiume di persone e questo, lo capii dopo, costò una considerevole aggiunta di tempo al mio cronometraggio finale.

LO SPARO!

Finalmente ecco…. la partenza! Davanti a me già centinaia di maratoneti stavano correndo, mentre io ero ancora in attesa di passare sotto lo striscione del via. I primi chilometri furono una vera e propria gimkana per superare centinaia e centinaia di atleti che andavano più piano di me. Il pensiero fisso era di un trovare un gruppetto di maratoneti da poter seguire con un ritmo gara costante, ma la cosa si rivelò poi impossibile.

Al primo rifornimento subito l’impatto con gli aspetti negativi della gara: presi al volo una bottiglietta d’acqua e cominciai a bere, ma era una cosa che non avevo mai fatto prima in allenamento e il liquido mi andò “giù di traverso” provocandomi una forte tosse che per fortuna non rallentò la mia corsa. Le gambe giravano bene anche se il tempo non aiutava. A tratti c’era una pioggia così forte che costringeva a serrare gli occhi per il dolore, ma la sensazione era comunque buona. Mi ritrovai a metà gara con un tempo che era al di sotto dei 4’25” al km., addirittura più di 35 secondi al di sotto del mio obiettivo, e il tempo tutto sommato era passato anche bene. Era già trascorsa un’ora e mezza: mi ero riproposto di pensare a cose belle che potevano dare sollievo alla fatica, ma la concentrazione era talmente alta che rimanevo sempre lì sulla gara passo dopo passo, metro dopo metro. Concentrazione che ogni tanto era interrotta da situazioni forse usuali per chi ne era esperto, ma che per me erano un’assoluta novità: gente che, continuando a correre, faceva di tutto e di più liberando lo stomaco, la pancia e ogni altro bisogno impellente si verificasse. Fu proprio a metà gara che ripensai alle parole di Massimo e, nonostante le forze fossero ancora buone, cominciai a limitarmi e mai scelta fu più opportuna.

La pioggia si attenuò, ma comparve un vento forte e sferzante che mise a dura prova la mie forze. Da tempo ormai correvo solo, quei pochi che avevano il mio passo pian piano si stavano fermando ad uno a uno e qualcuno in recupero invece mi sorpassava. Il mio fisico cominciava a dire basta, mentre la testa lo controbatteva con tenacia.

Delle bottiglie che avevo preparato con scritto il nome “Uggi” neanche l’ombra, non saprò mai se per mancanza di lucidità o per quale altro motivo. Le gambe diventarono dure e pesanti ed i pensieri grigi di non farcela cominciarono ad affiorare dopo il trentatreesimo chilometro.

L’idea di avere ancora 9 km da fare senza fermarmi demoliva ulteriormente le mie poche forze,

Potrei ora raccontare il calvario vero e proprio che vissi dal trentasettesimo al quarantunesimo chilometro, ma sarei costretto ad inventare. Sembrerà strano ma di quei chilometri non ho ricordi così nitidi, se non la lotta disumana di un corpo che avrebbe voluto fermarsi ad ogni passo contro una testa che gli diceva ostinatamente di andare avanti.

Ricordo invece molto bene, anzi con lucidità, il momento in cui vidi davanti a me il cartello del quarantunesimo chilometro. Fu una sensazione strana perché d’improvviso pensai di avercela fatta e immediatamente saltarono fuori risorse che non credevo più d’avere. Fu così che addirittura aumentai il passo!

L’ARRIVO

Gli ultimi 500 metri li feci con l’avambraccio destro piegato ed il pugno chiuso che continuava a muoversi velocemente, accompagnato dal digrignare dei denti e da una pelle d’oca incredibile che mi faceva rizzare i peli delle braccia.

454° su quasi 2000 concorrenti, 3 ore 20 minuti e 22 secondi il tempo ufficiale che però non poteva tenere conto di tutto il tempo perso alla partenza.

Voleva dire aver fatto la Maratona senza mai fermarmi a 4 minuti e 45 secondi circa al chilometro, voleva dire essermi superato, voleva dire aver vinto una scommessa con me stesso, voleva dire, credetemi un sacco di altre cose….

UN’EMOZIONE IMPAGABILE CHE CONSIGLIO A CHIUNQUE VOGLIA ESPLORARE SE STESSO PER TROVARE BENESSERE, AUTOSTIMA, SERENITA’, …..

PER LA CRONACA:

I keniani Gideon Chirchir e Jaqueline Jerotich hanno vinto la dodicesima edizione della maratona d’Italia Memorial Enzo Ferrari, da Maranello a Carpi attraverso Formigine, Modena e Soliera.

Chirchir, ex siepista da 8.06, ha chiuso in 2’12″51 davanti ai carabinieri Alberico Di Cecco (2’13″33, nuovo primato personale) e Matteo Palumbo.

Sfortunata la prova di Danilo Goffi, costretto al ritiro all’altezza del 21° chilometro per il riacutizzarsi di un dolore al gluteo destro, esteso alla schiena, già avvertito nell’ultima settimana di allenamento.

Jacqueline Jerotich, alla seconda esperienza sul percorso, ha completato i 42,195 km dopo aver distanziato Ornella Ferrara con due attacchi all’altezza del 31° e del 35° chilometro. L’azzurra, di nuovo in gara dopo la negativa esperienza di Sydney, (18esima in 2’31″32 il 24 settembre scorso), ha comunque dato prova di grande efficienza chiudendo in 2’28″59.

La fatica dei maratoneti e’ stata resa piu’ dura dall’umidita’ elevata, dalla pioggia e dal forte vento nella seconda parte del percorso. Al via 1842 concorrenti.

Uomini
 1) Gideon Chirchir (Kenya) 2'12"51
 2) Alberico Di Cecco (Ita) 2'13"33
 3) Matteo Palumbo (Ita)    2'13"47

Donne
 1) Jacqueline Jerotich (Kenya) 2'28"32
 2) Ornella Ferrara  (Ita)      2'28"59
 3) Francesca Zanusso (Ita)     2'34"44

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